Quagliotti e Tanganelli, Commercialisti e Revisori Contabili a Firenze

La Fed, l'inflazione, la deflazione.
Come avviene l’immissione di nuovo denaro nel sistema bancario americano?
I traders di buoni del tesoro (bonds) che lavorano per conto della Fed, la banca centrale statunitense, acquistano i bonds dalle banche commerciali pagandoli con denaro fresco di stampa, cioè con soldi che non esistevano fino a un secondo prima. La Fed continua ad acquistare titoli di stato pagandoli con soldi nuovi (il nome tecnico di questo processo è “open market operations”) fino a quando viene raggiunto il federal funds rate (il tasso che le banche praticano alle altre banche per prestiti a breve o brevissimo termine) che la Fed si era posta come obiettivo. Naturalmente, quello che la Fed dà, la Fed può togliere.

La Federal Reserve può infatti aumentare i tassi di interesse compiendo l’operazione inversa. In questo caso un organo interno alla Fed, il FOMC (Federal Open Market Committee) vota la decisione di aumentare il tasso di sconto e/o il federal funds rate, ed emette l’ordine di vendere i bonds presenti nel suo portafoglio alle banche commerciali, che si troveranno perciò a possedere maggiori quantità di titoli di stato ma minori quantità di denaro liquido da prestare; la disponibilità di capitali è diminuita. Il denaro che poteva essere prestato ai consumatori e alle aziende è “parcheggiato” in titoli di stato, i tassi di interesse salgono e tutto ciò che viene acquistato con denaro preso in prestito diventa più costoso. L’effetto cumulativo di questo processo è una crescita economica più lenta.

Come abbiamo detto nell’articolo precedente, il mandato della Fed (e di qualunque banca centrale) consiste nel facilitare un ritmo sostenibile di crescita economica, un compito davvero arduo. Infatti, se da un lato il surriscaldamento dell’economia dovuto a una crescita troppo rapida provoca inflazione, dall’altro il suo rallentamento eccessivo provoca recessione. La Fed deve anche stimare l’impatto di una eventuale variazione dei tassi di cambio: un taglio di un quarto di punto spingerà i consumatori a comprarsi l’auto nuova? E soprattutto quando, la prossima settimana o tra sei mesi?

Non si può infatti dimenticare che i tassi a lungo termine non dipendono dalla disponibilità monetaria del momento, ma dalle previsioni del mercato riguardo alla disponibilità monetaria (in relazione alla domanda) tra 10, 20 o 30 anni, e che la politica fiscale - le decisioni del governo riguardo alla tassazione e alla spesa - può condizionare i risultati che la banca centrale intende ottenere attraverso la politica monetaria. In altre parole, la Fed prende le proprie decisioni in un clima di grande incertezza, dovuta alla difficoltà di conoscere l’esatta velocità dell’economia e la risposta del mercato alle variazioni, al fatto che la politica monetaria e quella fiscale condizionano l’economia in modo indipendente, e infine, all’impossibilità di prevedere il corso degli eventi mondiali - una crisi finanziaria in qualche parte del mondo, il rialzo improvviso del prezzo del greggio, lo scoppio di una guerra, un terremoto di proporzioni devastanti, e così via.

La natura del denaro
Per capire perché una politica monetaria irresponsabile può avere effetti tellurici, è necessaria una piccola digressione sulla natura del denaro. Per gli economisti, il denaro è diverso dalla ricchezza: il primo rappresenta un mezzo di scambio, qualcosa che facilita le transazioni, la seconda consiste in tutto ciò che ha valore: immobili, automezzi, risorse, capitale umano. In teoria, il denaro non è indispensabile, dato che una economia elementare può reggersi sul puro baratto; tuttavia, in quasi tutte le società umane si è evoluta qualche forma di denaro come mezzo di scambio, che si tratti di monete d’oro, di denti di balena o di un dollaro americano. Il denaro serve anche come unità di calcolo, per poter misurare e confrontare il costo di qualunque bene o servizio ricorrendo alla stessa scala, ma non solo: il denaro è trasportabile e durevole, e infine, e questo è probabilmente il suo aspetto più importante, il denaro è (e deve essere) relativamente scarso, e perciò rappresenta un accumulo di valore. Il valore del denaro moderno consiste nel suo potere di acquisto - un dollaro o un euro derivano il loro valore esclusivamente dal fatto che tutti noi siamo convinti di poterli usare per acquistare qualcosa di cui avremo bisogno in futuro.

Inflazione significa che il potere di acquisto di una valuta sta scendendo, o in parole più semplici, che i prezzi di beni e servizi stanno salendo; il tasso di inflazione (la variazione dell’indice dei prezzi al consumo) esprime questo cambiamento in termini numerici, per esempio “2.5%”.

In tempi di crisi le variazioni  possono essere enormi. In Germania nel 1921 un quotidiano costava circa 30 centesimi di marco, due anni dopo costava 70 milioni di marchi. Cos’era successo? Il denaro cartaceo ha valore solo perché è scarso, ed è compito delle banche centrali controllarne la scarsità; in Germania il marco venne reso carta straccia perché il governo stampava nuovo denaro senza sosta. Alla fine del processo, la valuta tedesca aveva perso valore in modo così estremo che per le famiglie era più conveniente bruciare il denaro per riscaldare le case piuttosto che conservarlo. 

L’inflazione massiccia distorce l’economia in modo altrettanto massiccio, come mostra l’esempio della Germania, ma per capire il fenomeno è importante anche distinguere tra cifre reali e cifre nominali. Se per esempio diciamo che lo scorso anno i redditi sono aumentati del 5%, questa percentuale è insignificante se non si conosce il tasso di inflazione di quello stesso periodo, che può essere più elevato dell’aumento medio dei redditi (e in questo caso tutti sarebbero danneggiati), oppure meno elevato, e in questo caso tutti avrebbero guadagnato. L’inflazione produce anche altri effetti:

  • erode la ricchezza, che quando è posseduta in forma di denaro liquido tende a perdere valore nel tempo;
  • provoca una ridistribuzione arbitraria dei redditi; i picchi inaspettati sono infatti favorevoli ai debitori (che restituiscono capitale e interessi che hanno un minore potere di acquisto rispetto a quando il prestito è stato erogato) e sfavorevoli ai prestatori;
  • distorce la tassazione. Si consideri per esempio la tassa sui guadagni realizzati in borsa in un anno fiscale nel quale l’inflazione è del 10% e il guadagno che si è realizzato vendendo un pacchetto di azioni è del 10%. La perdita è netta perché nonostante il guadagno del 10% sia stato annullato dall’inflazione, su di esso si dovrà comunque pagare la relativa tassa allo Stato;

Per contro, un’inflazione moderata con un tasso relativamente costante e prevedibile produce pochi danni, e anzi, secondo alcune scuole di pensiero un tasso di inflazione all’intorno del 5% avrebbe una funzione protettiva sui posti di lavoro. Purtroppo, l’inflazione non è costante e prevedibile, e l’aura di incertezza è proprio uno dei suoi costi più insidiosi perché costringe individui e aziende a indovinare i prezzi futuri anche quando si trovano a fare scelte economiche fondamentali.

Se l’inflazione è un male, la deflazione è anche peggio: basta che sia di modesta entità per devastare un’economia, come il Giappone ha imparato a sue spese nell’ultimo decennio. La deflazione, cioè la caduta dei prezzi, può impoverire una nazione perché innesca un ciclo economico estremamente pericoloso. In primo luogo, i prezzi in discesa spingono i consumatori a ritardare gli acquisti (e le aziende a ritardare gli investimenti), e come sappiamo, se i consumatori smettono di spendere l’economia smette di crescere. Le aziende rispondono al rallentamento riducendo ulteriormente i prezzi, e il risultato è un ciclo letale, come osserva l’economista Paul Krugman (Fear Itself, New York Times Magazine): “I prezzi scendono perché l’economia è depressa, ma abbiamo appena imparato che l’economia è depressa perché i prezzi scendono. Questo prepara lo scenario per il ritorno di un altro mostro che non vediamo dagli anni ’30, la “spirale deflazionaria” nella quale i prezzi in discesa e l’economia in depressione si alimentano a vicenda, spingendo quest’ultima verso l’abisso”.

Non sempre la politica monetaria è in grado di correggere la situazione, anche quando adotta misure estreme. In Giappone, per esempio, la banca centrale ha tagliato i tassi di interesse portandoli a zero senza che si producesse alcun miglioramento nell’economia (i tassi di interesse non possono essere negativi: una banca che prestasse 100 euro e ne chiedesse indietro 98 avrebbe fatto meglio a non concedere il prestito). Perché? In regime di deflazione, i tassi di interesse sono in realtà molto elevati. Se i prezzi scendono, i 100 euro presi in prestito oggi e restituiti l’anno prossimo non sono a costo zero, perché i 100 euro restituiti hanno più potere di acquisto di quelli presi in prestito, forse molto di più. E più veloce è la discesa dei prezzi, più elevato è il vero costo del denaro preso in prestito.

In conclusione, la politica monetaria è un fenomeno complesso e insidioso; se è gestita bene, lubrifica la crescita economica e protegge l’economia dagli shock che potrebbero altrimenti danneggiarla; se è gestita male, può provocare recessione e miseria.

Nel prossimo numero: Splendori e miserie di un miliardario

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